Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra

Nostra intervista a Alberto Ruz Buenfil.

Piacerebbe a tutti dare un contributo per la salvaguardia dell’ ambiente, per il cambiamento climatico, per salvare molti animali dall’estinzione. Ma che cosa facciamo concretamente? La maggior parte di noi si limita a fare la raccolta differenziata e questo basta a farci sentire cittadini sensibilizzati sul tema. Per fortuna ci sono persone che fanno molto di più della raccolta differenziata, persone come Alberto Ruz Buenfil, co-fondatore nel 1982 della Comunità Ecologica Huehuecoyotla Tepoztlan in Messico, nonché fondatore della Caravana Arcoíris por la Paz;

Alberto Coyote, come è soprannominato, da alcuni anni si prodiga con molti altri per la diffusione e l’adozione in più paesi possibili della Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra ritenendo che il riconoscimento della terra come essere vivente dotato di propri diritti sia il punto di partenza per cambiare il destino del pianeta. Proprio per conoscere di più a proposito della Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra abbiamo intervistato Alberto Ruz Buenfil:

Alberto Ruz Buenfil davanti alla tomba del sovrano maya K’inich Janaab Pakal scoperta dal padre Alberto Ruz Lhuillier nel 1948

Come e quando è nato il progetto di redigere la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra?

Alla Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici del 2009 il presidente della Bolivia Evo Morales per la prima volta ha fatto pubblicamente riferimento ai diritti della Madre Terra; nello stesso anno il governo dell’Ecuador ha approvato e inserito nella costituzione del paese una legge che riconosce la Terra come essere vivente dotato di propri diritti. Nel 2010 la Bolivia ha presentato due proposte alle Nazioni Unite: la prima per riconoscere il 22 aprile come giorno internazionale dedicato ai diritti della Madre Terra, la seconda consisteva nella Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra che io (sono attivo per la causa dal 2012) e molte altre persone stiamo continuando a far conoscere nel mondo. I governi di Bolivia ed Ecuador hanno già approvato nelle loro costituzioni il riconoscimento della Terra come essere dotato giuridicamente di propri diritti.

Dato che i primi paesi a firmare la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra sono stati l’Ecuador e la Bolivia, la sensazione è che gli stati dell’America centrale e meridionale siano più attenti ai diritti della Madre Terra. Secondo lei è così?

Credo che il motivo per cui questo movimento è più forte qui, nell’ America del Sud, sia da ricondurre al fatto che le popolazioni autoctone di questi paesi avevano già una relazione diversa con la natura rispetto a quelle dei paesi europei o dell’America del Nord: c’è sempre stato un rapporto di rispetto, armonia, interdipendenza con la madre terra. Il movimento ora è forte in Colombia, Messico, Cile, Brasile, Ecuador e Bolivia: tutti paesi che hanno una relazione con la cosmogonia andina delle popolazioni delle Ande.

Quanti paesi hanno aderito per adesso alla Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra?

 In questo momento ci è parso più produttivo prendere in considerazione casi particolari: far riconoscere diritti propri a una parte della natura come fiumi, ghiacciai, boschi. Ci siamo già riusciti con due fiumi in India, uno in Nuova Zelanda, un lago negli Stati Uniti e anche con una ventina di città i cui sindaci hanno firmato la Dichiarazione; anche Città del Messico e lo stato di Colima in Messico hanno aderito. Abbiamo ottenuto diritti giuridici propri anche per quattro o cinque fiumi in Colombia dove uno stato ha anche firmato la Dichiarazione. In Brasile abbiamo tre o quattro città che hanno riconosciuto diritti legali alla Madre Terra.
Non è solo importante, ma è fondamentale avere una legislazione superiore riconosciuta dalle Nazioni Unite che tuteli non solo la Madre Terra ma anche le persone che, come gli indiani e i contadini dell’America del Sud, si battono per proteggere i territori in cui abitano: senza una legislazione a tutela dei diritti della Madre Terra continueremo ad attuare questa distruzione della natura e dell’umanità, in primo luogo di coloro che stanno difendendo i territori.
In questo moneto riteniamo sia più importante far sapere alle persone che questo è già un movimento globale. Adesso esiste un tribunale speciale per i diritti della madre terra che si riunisce in tutte le Cop  (Conference of the parties) e si riunirà in novembre/dicembre in Cile per giudicare coloro che stanno violentando i diritti della Madre Terra.

Per far sì che un paese intero riconosca la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra c’è tutto un procedimento giuridico che ha a che vedere con la Camera dei Deputati e dei Senatori per essere approvato. Per questo motivo ora stiamo facendo pressione a partire da situazioni particolari anche se siamo già riusciti a portare la questione nella Camera dei Deputati in Cile.

Quale pensa che possa essere il primo passo che ognuno di noi debba fare per cambiare il futuro del pianeta? Il primo punto della Dichiarazione è “Madre terra è un essere vivente”: qual è l’importanza di quest’affermazione?

Fino ad adesso tutte le leggi sono state antropocentriche, abbiamo una legislatura pensata per l’uomo e la terra, non essendo riconosciuta come essere vivo non ha diritti. La prima cosa è fare un salto qualitativo della consapevolezza umana per capire che noi non abbiamo nessuna possibilità di sopravvivere senza la Madre Terra, dobbiamo cessare di considerare gli elementi della natura come proprietà, che sia statale o privata, perché procedendo su questo sentiero cammineremo verso l’estinzione e questa volta non toccherà ai dinosauri.
Dopo che l’individuo capisce questo deve trovare il modo per far accrescere il numero di persone che prenda coscienza del fatto che il futuro dell’umanità è in gioco: tutti i fatti accaduti nella storia passata, come le guerre, erano eventi locali, territoriali, perfino le due guerre mondiali non possono essere definite veramente mondiali in confronto al problema con cui ci dobbiamo confrontare oggi: dobbiamo entrare nell’ottica che questo è un problema globale che ci coinvolge tutti. Si sta già iniziando a prenderne coscienza: è la prima volta nella storia che viene indetto uno sciopero mondiale come quello proposto dalla ragazzina svedese Greta Thunberg ed è anche la prima volta anche che vedo una risposta globale così profonda per un disastro ambientale come quella che si sta avendo per l’Amazzonia perché non è un problema solo del Brasile e dell’Amazzonia, ma interessa tutti noi, per continuare a respirare.
Ogni volta che un gruppo di persone inizia a far capire ad altri che c’è bisogno di intervenire per un determinato problema, questi possono iniziare, come stiamo facendo noi, a fare azioni per far adottare questa legislazione. Anche l’abolizione della schiavitù in America e dell’apartheid in Africa sono iniziati con piccoli gruppi che hanno iniziato a impegnarsi per far valere determinati diritti.

Crede che ci sia una risposta positiva non soltanto alla Dichiarazione dei Diritti della Madre Terra ma anche ai numerosi appelli che si stanno facendo per migliorare la situazione del pianeta? E’ ottimista in proposito?

Se si guarda ad esempio quello che accade a livello delle alte sfere di potere come il G7 che si riunisce per decidere il destino di tutta la terra allora non c’è troppa speranza: non si può credere in un cambiamento dei grandi governi anche se ormai non si può più tanto parlare di Stati perché la maggior parte di questi rispondono al mercato governato dalle grandi banche e multinazionali che guardano ai loro interessi e non certo ai problemi dell’ambiente. Ma d’altra parte io che viaggio molto sono a contatto con diversi gruppi di persone che stanno lavorando per invertire questo processo di distruzione: a questo livello vi è la speranza. Al momento è in corso una battaglia globale tra l’ottimismo e il pessimismo: i social media bombardano di notizie catastrofiste che scoraggiano a fare azioni che potrebbero cambiare qualcosa, sono interessati a portare ancora più pessimismo perché rispondono ai governi che dipendono dalle multinazionali, beneficiarie dello sfruttamento indisturbato della Madre Terra. Dobbiamo continuare a creare mezzi di comunicazioni alternativi, reti sociali che diffondano verità e voglia di cambiamento. Ho la certezza che ci sia già una risposta da parte di tutta la nuova generazione che è già nata in questo millennio in cui non c’è scontro tra capitalismo e comunismo, ma tutti i sistemi sono al momento focalizzati sullo sfruttamento della terra e delle popolazioni.
La risposta sta iniziando sì a diventare globale, ma la globalizzazione ha due facce: una di uniformità di pensieri, desideri e paure, l’altra delle possibilità di cambiamento, di aumento di consapevolezza dell’umanità. Per questo noi dobbiamo continuare a sostenere la speranza, anche se la grande parte dell’umanità continua a camminare come uno zombie che non pensa e non critica, che non vede dove stiamo andando perché le opzioni sono rese invisibili e se non si vedono, si pensa che non ci sia altra alternativa che fare parte della massa che esiste solo per consumare e distruggere.

Secondo lei c’è un modo per far convivere i diritti della madre terra e l’idea di progresso dei paesi più industrializzati?

Ci sono persone che non hanno opzioni, persone che nascono in una certa situazione sociale, ambientale, economica, razziale che definisce la loro possibilità di scelta, ma noi che abbiamo la possibilità di scelta possiamo cercare di trovare uno stile di vita che sia il più coerente possibile con i nostri pensieri e sentimenti e avere un rapporto meno distruttivo con la natura. Il mio è già un caso particolare: sono più di trent’anni che ho scelto la vita in comunità che all’inizio è stata nomade, teatrale e attivista, grazie alla quale cerchiamo di vivere con un impatto meno grave sulla natura.

Che spazio possono occupare nella società odierna gli eco villaggi?

L’interesse sociale per questi progetti che stiamo attuando, che hanno una forma un po’ alternativa rispetto al modo di vita attuale, non è grande. Stiamo notando che ci troviamo sempre tra gli stessi gruppi e le stesse persone a fare le attività che portiamo avanti e questo ci preoccupa tantissimo perché anche se stiamo facendo il possibile per farle conoscere a mezzi di comunicazione più grandi, troviamo difficoltà nell’attirare l’attenzione su quello che stiamo facendo, perché sono notizie positive che non suscitano lo stesso interesse della violenza, del sesso, delle notizie sui rifugiati e su tutte le tragedie che stanno succedendo.
Come il nostro progetto di eco villaggio ve ne sono nati altri che stanno portando queste idee e pratiche anche nelle città: c’è il movimento “Transizione” che sta portando nei quartieri delle città le proposte di una vita più sostenibile e responsabile nei confronti del mondo naturale e questo vuol dire cambiare modo di mangiare, produrre, consumare ed educare. Siamo una generazione che viene dagli anni ’60 per rompere i condizionamenti e non sempre abbiamo avuto i risultati sperati, ma abbiamo fatto molti passi avanti e possiamo passare queste proposte alle nuove generazioni, soprattutto il messaggio che non è vero che non c’è alternativa rispetto al diventare parte della massa-zombie.

 

Chiara

chiaral@vicini.to.it

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