C’è qualcosa che lega Torino con l’Iraq. Oggi, nei giorni in cui il Papa conduce la sua personale missione di fratellanza, forse possiamo rievocare quelle settimane di missioni di guerra.
Nell’agosto del 1990, l’Iraq di Saddam Hussein improvvisamente, sorprendendo le “intelligence” di tutto l’Occidente, invade il Kuwait. L’obiettivo è quello di imporre una supremazia regionale da parte dell’Iraq, sciita, all’alleanza dei Paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita, sunnita. I Sauditi si rivolgono all’ONU (di cui fanno parte) per ottenere una risoluzione che sanzioni l’Iraq e lo costringa a recedere. Al contrario Saddam sfida il potente avversario e arriva ad annettere il Kuwait proclamandolo una propria provincia. L’USA di George Bush padre si fa promotrice di una coalizione per sostenere il diritto internazionale, ed il Governo Italiano decide di farne parte. La NATO, braccio armato dell’ONU, interviene con un embargo e invia una flotta, di cui la Marina Militare fa parte, al largo delle coste di Iraq e Kuwait. Anche l’Aeronautica Militare entra in gioco nel ruolo di protezione della nostra flotta. Parte l’operazione “Desert Storm”.
L’industria aeronautica tutta è chiamata a supportare le operazioni. L’Aeritalia-Torino e Caselle, la mia azienda, ha il ruolo di Prime Contractor.
L’azienda ci comunica che tutti noi che partecipiamo al programma Tornado dovremo considerarci a disposizione. Abbiamo in carico l’intero archivio dei documenti di progetto (specifiche, disegni, documenti di test) relativi agli equipaggiamenti sotto nostro controllo, ed avevamo appena completato l’installazione dei sistemi di contromisure elettroniche, destinati all’autoprotezione del velivolo.
In settembre veniamo convocati al Ministero dell’Aeronautica: un edificio anni ’30 sormontato da un’enorme aquila che spiega le sue ali come a protezione dei suoi aquilotti che lavorano nelle stanze sottostanti. Nel salone del Consiglio di guerra di mussoliniana memoria l’atmosfera è cordiale, collaborativa come sempre. Nella discussione si percepisce però una insolita preoccupazione. Un colonnello col quale collaboravo spesso per questioni tecniche di interesse comune ci spiega: nella congerie di Forze Armate coinvolte nell’operazione il rischio più temuto è il fuoco amico. Basta un errore di comunicazione per diventare un bersaglio. E nella mente, la fama dei Top Gun americani come grilletto facile è nota. Magari abbiamo visto troppi film.
Il nostro compito principale, in particolare, consiste appunto nel garantire il corretto funzionamento dell’equipaggiamento che identifica ogni velivolo come “amico”: occorrerà inserire i codici da usare nel teatro operativo.
Dunque i velivoli destinati ad essere inviati in zona operativa vengono trasferiti in Aeritalia per venire modificati con la “livrea” mimetica adatta adoperare nel deserto. Facciamo tutti la nostra attività con delle tempistiche mai viste prima.
Otto velivoli Tornado con base a Gioia del Colle vengono rischierati nella base di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti; altri 8 rimangono operativi come riserva ed in caso di necessità di sostituzioni. Gli equipaggi schierati sono in tutto 34, tutti già perfettamente addestrati.
Il Tornado è un cacciabombardiere il cui ruolo principale è l’attacco al suolo. Fortemente voluto come deterrente dalla allora Germania Federale, che negli anni ’60 ancora viveva nel timore di un’invasione dell’Unione Sovietica, è in grado di volare a velocità vicina a quella del suono a poche decine di metri da terra: anche grazie ad un equipaggiamento specificamente sviluppato allo scopo dal nostro settore dell’Aeritalia.
Il Reparto inizia le missioni addestrative a fine settembre e da ottobre partecipa a missioni di difesa aerea e di copertura alle forze navali operanti nel Golfo. La situazione precipita a inizio 1991.
Ecco il racconto in una nota dell’Aeronautica Militare (Nota):
“Il 28 novembre, a seguito degli scarsi risultati dell’embargo il Consiglio di Sicurezza delibera l’impiego della forza in caso di mancato ritiro delle forze irachene dal Kuwait entro il 15 gennaio 1991. In quella data, a mezzanotte, iniziano le operazioni di guerra ma i Tornado italiani entrano in azione con due giorni di ritardo per la mancata autorizzazione del Governo a partecipare alle operazioni belliche della coalizione…” La Costituzione prevede che un intervento armato debba essere autorizzato dal Governo e dal Parlamento. “Il 17 gennaio la missione e i compiti del Reparto di Volo Autonomo nel Golfo vengono aggiornati in relazione alla decisione del Governo…Per la prima volta, dalla fine della II Guerra Mondiale, velivoli da combattimento dell’Aeronautica sono impiegati in una missione di guerra”.
Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, gli otto cacciabombardieri Tornado si levano in volo dalla base “Locusta” (nome in codice assegnato alla missione dell’Aeronautica Militare), nella Penisola Arabica,
“All’appuntamento per il rifornimento in volo, le condizioni meteorologiche proibitive impediscono al grosso della formazione italiana e ad altri velivoli alleati di portare a compimento la missione e impongono il loro rientro alla base”.
C’è una tempesta in corso. La turbolenza però impedisce al velivolo del “leader” della formazione di rifornirsi, così che esso si allontana e rientrerà alla base. Il velivolo MM 7074 comandato dal Magg. Bellini, navigatore il Cap. Cocciolone, riesce con fatica a rifornirsi mentre il resto della flotta rientra. Bellini decide di proseguire la missione, è possibile che non ci fossero istruzioni in contrario. Questo il racconto dell’abbattimento dell’MM 7074 nelle parole del pilota, molto tempo dopo:
“Dopo aver effettuato il rifornimento in volo ed aver scoperto che il mio “leader”, per una rottura meccanica, stava rientrando alla base, senza aspettare che il velivolo del mio leader lasciasse la formazione, spensi tutte le luci esterne e diressi il velivolo verso nord, verso il punto della navigazione prima dell’attacco. Appruai verso il nero più nero confidando ciecamente negli strumenti. Il “coccio” mi batteva la quota per ricordarmi che alla fine di quel nero c’era la superficie dell’acqua del mare arabico. Livellammo a 250 piedi dal livello dell’acqua e procedemmo ai controlli da effettuare prima dell’attacco…Ci dirigemmo velocemente verso Kuwait City e cominciai a vedere i contorni della costa e l’illuminazione a giorno della città. Dissi all’interfono che mi aspettavo Kuwait City oscurata rallegrandomi che invece non lo fosse.
Entrati su terra iniziammo l’avvicinamento al nostro obiettivo assumendo la configurazione tattica prevista, incrementammo la velocità e scendemmo, usando la strumentazione di bordo, ulteriormente di quota.
La CONTRAEREA era molto attiva…
Alle 04.30 ho sganciato come previsto il carico bellico, e 40 secondi dopo sono stato colpito violentemente dalla contraerea irachena ai comandi di volo del velivolo costringendomi al lancio.
Tutta questa concitata fase è stata ricavata dal Crash Recorder del Tornado abbattuto in quanto di quei momenti non mi rimangono se non vaghi ricordi, una cosa però è certa e cioè che aver dato l’ordine di eiezione deve essermi costato moltissimo”.
Pilota e navigatore (il Cap. Cocciolone) vengono subito catturati e dopo qualche giorno Cocciolone compare alla TV irachena col volto tumefatto ed in evidente stato confusionale, con ogni probabilità sotto l’effetto di droghe.
Del Magg. Bellini non si seppe più nulla, fino a quando, alla fine del conflitto, in marzo, i prigionieri vengono liberati.
Il Crash Recorder -la scatola nera- di cui parla Bellini è un equipaggiamento che fa parte della configurazione di missione italiana ed era sotto responsabilità Aeritalia. Era consuetudine che, in caso d’incidente, venisse inviato al nostro laboratorio per scaricare e analizzare i parametri di volo sia sotto forma di dati sia in voce. Il collega che aveva analizzato i dati ci disse che le parole del pilota che gli erano risultate chiarissime, pur nella concitazione, erano “chaffa chaffa” riferito al lancio di “chaff”, le strisce di metallo che formano uno schermo per ingannare il radar che sta “illuminando” il velivolo per colpirlo. Si è accertato che nella fase di avvicinamento e attacco i parametri di volo corrispondevano a quelli denunciati dal pilota.
Anche le contromisure elettroniche di autoprotezione, furono efficaci. L’aereo fu colpito sino all’altezza del cruscotto del pilota ed in un articolo Bellini raccontò che secondo lui fu l’aereo ad impattare i proiettili e non i proiettili a colpirlo.
Ci auguriamo che tutto questo sia alle nostre spalle, anche nel ricordo. Come vuole il Papa, per la comune discendenza da Abramo.
Gianpaolo Nardi
gianpaolon@vicini.to.it
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