Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Qualcosa per cui vivere , di Richard Roper

RICHARD ROPPER.  Vive a Londra e di mestiere fa l’editor. Qualcosa per cui vivere è il suo primo romanzo, tradotto in venti Paesi

Andrew lavora per il comune di Londra e fa un lavoro singolare: si occupa delle persone morte in solitudine e va nelle loro case a cercare documenti, lettere, indizi di qualche parente o amico che possa occuparsi del funerale. Entra in case a volte terribilmente squallide e sporche altre volte linde e ordinate, dove la solitudine è  sempre palpabile; l’odore della morte è ormai per lui  quasi un’abitudine. Spesso ai funerali di queste persone partecipa solo lui , anche se non è tenuto, ma fa il suo lavoro con umanità e devozione, e non se la sente di lasciarle sole anche per l’ultimo saluto.

Andrew sa bene cosa sia la solitudine: a fargli compagnia, nella sua casa spoglia, solo i suoi trenini elettrici ed i dischi di Ella Fitzgerald. Andrew non ha amici, è schivo, e l’unica che gli volesse bene, sua sorella Sally, non c’è più.

In ufficio con il capo ed i colleghi mente, ed inventa di avere una bella famiglia , una moglie e due figli che adora: questa finzione diventerà sempre più difficile da sostenere e gli ci vorrà una bella dose di coraggio per venirne fuori.

A cambiare la sua vita sarà Peggy, una giovane nuova collega, allegra e positiva, nonostante una vita complicata, che inizia ad affiancarlo nelle visite alle case dei defunti, e che diventerà per lui un punto di riferimento importante. Un po’ alla volta Peggy lo prenderà per mano e lo porterà fuori dal tunnel, facendo venire a galla anche il vero dramma che ha segnato la vita di Andrew.

E’ un  libro toccante, triste ma leggero contemporaneamente, perché offre molti messaggi positivi pur partendo da un assunto negativo: la frequenza della solitudine, soprattutto negli ultimi anni della vita.

L’inizio del racconto apre uno squarcio impietoso sulla tristezza della solitudine nel momento  finale della vita; vite che, dai dettagli, un oggetto, una foto, una lettera, si percepisce, sono state una volta pienamente vissute, poi a mano a mano si svuotano di  significato.

La stessa desolazione troviamo nella solitudine di Andrew, che di vita invece davanti ne ha ancora parecchia. Andrew, nonostante il grigiore della sua esistenza, è però dotato di rare doti umane: la generosità e la sensibilità per i suoi defunti. Cerca in ogni modo di rendere accettabile  il loro ultimo viaggio. Forse perché Andrew sa che la solitudine raramente è una scelta, c’è quasi  sempre un evento, un trauma, un dramma che la determina. Ne deriva  l’incapacità di affrontare la vita e di venire allo scoperto. Andrew vede il suo futuro nella condizione dei defunti di cui si occupa e lo teme.

La morte in solitudine è purtroppo un tema che ha emotivamente coinvolto tutti in questo momento particolare di pandemia. Il libro di Roper diventa così attuale , anche se ambientato in una realtà completamente diversa, e fa riflettere  sull’importanza degli affetti e delle relazioni, preziosi per dare un senso all’esistenza.

La dicotomia tra l’essere e l’apparire, la fatica di mostrarsi per quel che si è veramente e la necessità di fingere per essere accettati, o credere di essere così migliori agli occhi del mondo è un altro spunto di riflessione di questo romanzo: la soluzione finale che sceglie l’autore  è l’accettarsi per poter meritare il rispetto e l’affetto sincero di chi ci circonda. Andrew alla fine ci riuscirà, seppur con uno sforzo enorme per abbattere barriere che lui stesso ha costruito con accanimento.

L’amicizia ed i legami  affettivi sono la via per riconquistare la serenità: sia l’amicizia  nata in chat che quella vissuta quotidianamente con Peggy lentamente fanno riscoprire ad Andrew il bello delle piccole cose; Peggy, la figura positiva di questo romanzo, pur essendo anche lei non particolarmente fortunata, ha uno sguardo ottimista sulla vita che riesce ad illuminare anche Andrew.

A fargli capire che esiste sempre “qualcosa per cui vivere”.

Maria Cristina Bozzo

cristinab@vicini.to.it

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