Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Crisi dei partiti e della rappresentazione democratica

Nell’ambito del progetto 100: 1922 – 2022 Dalla Marcia su Roma alla crisi delle democrazie, promosso dal Polo del ‘900, su iniziativa della fondazione Carlo Donat Cattin, si è tenuto il 26 ottobre un incontro intitolato Crisi dei partiti e della rappresentazione democratica, al quale hanno partecipato in qualità di relatori Valentina Pazè, professoressa associata presso l’Università degli Studi di Torino nel Dipartimento Culture, Politica e Società e Lorenzo Pregliasco cofondatore dell’agenzia di ricerche sociali e comunicazione politica Quorum e direttore del web magazine di analisi dei dati YouTrend.
In loro compagnia partendo dall’analisi di alcuni dati relativi all’affluenza elettorale, si è cercato di indagare le possibili cause dell’astensionismo e individuare le soluzioni attuabili per riportare la politica al centro della vita dei cittadini e viceversa.

“La partecipazione elettorale è il punto di arrivo di una situazione di scarsa partecipazione politica, inizia Lorenzo Pregliasco, Le elezioni sono il momento in cui si realizzano delle tendenze che negli anni precedenti restano sotto traccia e ci permettono di misurare certe dinamiche che riguardano consenso, rappresentanza e istituzioni. Valutare la partecipazione elettorale in un certo senso ci dà una prima coordinata. L’affluenza è stata il dato più analizzato insieme all’esito del voto che ha visto vincitrice la coalizione di centro-destra. Come è stato più volte detto il 63,9% degli elettori è andato alle urne. Percentuale che potrebbe non sembrare così bassa se non teniamo conto che questo 64% scarso è di gran lunga il dato più basso della storia della Repubblica italiana ed è significativamente più basso di quello delle elezioni legislative del 2018 durante le quale si è registrata un’affluenza del 73% (9 punti percentuali in più). Non c’è mai stato un calo così alto tra due elezioni consecutive: nel ‘76 (l’anno del quasi sorpasso del PC sulla DC) l’affluenza fu superiore al 90 %. Negli anni ‘90 la partecipazione oscillava tra l’80% e l’85%. Nel 2008 siamo ancora sopra l’80% di affluenza ma dal 2013 elezione politica dopo elezione politica il calo è diventato significativo. Con questi dati alla mano potremmo cercare di interrogarci sul motivo di questo drastico calo di partecipazione elettorale. E’ un fenomeno dovuto alle contingenze e dunque alla passata legislatura o ci racconta di una tendenza che affonda le radici più in profondità nella storia? Ci sono inoltre altri fenomeni da tenere in considerazione come il fenomeno fuorisede; oggi vediamo molte più persone (4 milioni circa) spostarsi per ragioni di studio o di lavoro senza cambiare residenza e d’altro canto secondo alcune stime, oltre un milione di persone anziane è impossibilitato a muoversi di casa e dunque a recarsi ai seggi.”

Quello che si delinea è dunque un fenomeno complesso che deve tenere conto di diversi fattori, politici ma anche sociali, fino a considerare, come vedremo, la condizione socio-economica dell’elettorato.

“Analizzando i dati notiamo che esiste una linea di confine tra nord e sud, continua Lorenzo Pregliasco, al di sotto del basso Lazio la partecipazione al voto è molto più bassa (anche inferiore al 50%). Non possiamo dire che questa sia una novità: il centro-nord ha sempre votato di più rispetto al centro-sud ma la forbice in questi anni si è allargata notevolmente. Questo può essere dovuto ad alcuni fenomeni avvenuti negli ultimi 4/5 anni come la parabola del M5S che nel 2018 aveva ricevuto il voto di un segmento di elettorato che ora si è in gran parte astenuto. E’ da notare infatti una sovrapposizione tra luoghi in cui l’affluenza è scesa e in cui il M5S è stata la lista più votata.
Un altro dato rilevante, a livello locale questa volta, è il tasso di astensione all’interno delle grandi città. Prendendo in esame Torino ad esempio, possiamo notare che spostandoci verso la periferia, soprattutto a nord, l’astensione è cresciuta rispetto alle elezioni del 2013 mentre l’affluenza regge nelle aree in cui la popolazione ha redditi più elevati e in cui vi sono immobili più cari. Il voto delle grandi città dunque sta diventando sempre di più il voto della parte più ricca e sta perdendo quella componente di marginalità socio-economica che si proietta anche nella differenza nord-sud.”

Ai già prima citati motivi del calo di affluenza elettorale possiamo dunque aggiungere, secondo i relatori, la marginalità socio-economica di una parte dell’elettorato. Resta da chiedersi quale siano le motivazioni che influiscono maggiormente ad allontanare dal voto una fetta così significativa della popolazione.

“Oggi al non voto si somma disinteresse, disillusione, qualunquismo ma anche protesta, spiega Valentina Pazè. E continua: Nelle amministrative del 2020 solo il 28% delle persone a basso reddito ha votato contro più dell’80% di quelle ad alto reddito. Questo è un fenomeno non solo italiano; il sociologo Wolfgang Streeck dice che la politica sta sempre più diventando un intrattenimento da classe media, i partiti hanno perso la funzione che avevano nel ‘900 di dare forma al malessere e alle istanze della popolazione trasformando le questioni private in pubbliche. I partiti ormai si sono ritirati dai territori e soprattutto dalle periferie. Per sopperire a questa mancanza dobbiamo pensare ad altre forma di partecipazione democratica che forse non prenderanno più le forme della partecipazione novecentesca. Oggi si parla molto di democrazia partecipativa e deliberativa anche con riferimento a nuovi strumenti sperimentati a livello cittadino come il bilancio partecipativo (importato in Europa dal Brasile in una forma semplificata che consiste nel dare ai cittadini la possibilità di esprimersi su una quota degli investimenti municipali), le giurie cittadine (gruppi di cittadini estratti a sorte e invitati a discutere su determinati temi). Credo però che si debba sollevare qualche critica rispetto a questi tipi di democrazia partecipativa che vanno verso una partecipazione non solo senza partiti ma senza collettività; sono una forma di consultazione di cittadini attivate dall’alto in un contesto di crisi della rappresentanza. Potremmo ad esempio guardare a forme di partecipazione anche non partitiche (anche se non è del tutto sparito il partito che cerca di radicarsi sul territorio) come associazioni di mutuo soccorso, movimenti, comitati che, pur nascendo da istanze singole, possono essere un puto di partenza per la discussione di altri temi. Il partito di massa del ‘900 è nato nelle fabbriche, luoghi di lavoro che non esistono più poiché il mondo del lavoro è cambiato, è parcellizzato; chissà però che una qualche organizzazione che vada in quella direzione e svolga la stessa funzione non possa nascere sui territori, nelle città disastrate, inquinate, in posti martoriati dallo sfruttamento del suolo.”

Dalle riflessioni dei relatori, ma anche dalla nostra esperienza quotidiana di cittadini è chiara una crescente disaffezione alla politica, vista sempre di più come un sistema lontano che impone dall’altro le leggi regolando una vita pubblica che il cittadino medio non ha speranza di influenzare; da qui in buona parte la progressiva erosione della partecipazione elettorale. E’ difficile, se non impossibile, trovare un colpevole di questa tendenza nazionale (e non solo). Sicuramente è da notare la difficoltà che le persone riscontrano nell’approcciarsi al mondo della politica e la disinformazione dilagante innanzi tutto sul nostro sistema elettorale, che ha messo in difficoltà non pochi alla vigilia delle elezioni. Servirebbe sicuramente un maggior impegno nell’educare la popolazione a una cittadinanza attiva e nell’insegnare nozioni di politica di base per creare un elettorato più consapevole.

“E’ possibile che un ruolo in questa tendenza sia giocato anche dal sistema elettorale italiano, dice Lorenzo Pregliasco, In Italia non abbiamo mai avuto un sistema compiutamente maggioritario né uninominale puro; abbiamo avuto forme ibride, come la stagione del Mattarellum; sia nel 2006 che nel 2008 e nel 2013 vi era un impianto proporzionale ma l’affluenza è comunque calata. In un sondaggio condotto quest’estate, tra le motivazioni dell’astensione abbiamo riscontrato preponderante la percezione che il proprio voto conti fino a un certo punto. Se si guarda alla legislatura appena conclusa possiamo dire che quest’idea non sia del tutto infondata: il voto espresso nel 2018 non ha avuto una conseguenza lineare; si sono susseguiti tre governi diversi, tre presidenti del consiglio e tre alleanze con totale smentita della linea politica tenuta fino a poco prima dai partiti (tranne Fratelli d’Italia che è sempre stato all’opposizione). Nell’ambito del sondaggio avevamo anche chiesto cosa avrebbe potuto rimotivare al voto gli intervistati e la stragrande maggioranza ha risposto: “il mantenimento delle promesse da parte della classe politica”. Da questo sondaggio emerge un’opinione interessante che si sapeva essere in larga misura condivisa: la non partecipazione viene vista come una conseguenza di qualcosa che non viene fatto dalla classe politica. Più dell’80 % dei partecipanti al sondaggio infatti afferma di non avere fiducia nella classe politica. Potremmo però domandarci se ci faccia comodo raccontare le classi politiche come qualcosa che vive in un mondo scollegato dalla società; sarebbe curioso se lo stato devastante dei partiti non avesse nulla a che fare con l’opinione pubblica che siamo, con i media che consumiamo ecc.. Credo che oggi ci sia un ecosistema nel quale abbiamo una sovrapposizione tra influencer e altre personalità non politiche che ‘fanno politica’ e soggetti politici; questo fenomeno è reso possibile dalla trasformazione della nostra partecipazione politica. Ormai ci sono solo una serie di singole cause a cui ci interessiamo, ci attiviamo sulla singola questione; è come se avessimo interiorizzato una certo metodo di fruizione dei contenuti multimediali estendendolo alla politica. Come non siamo più abituati a qualcuno che ci imponga quali programmi guardare o quale musica ascoltare, non immaginiamo che qualcuno possa imporci un programma politico compiuto.”

Lungi dal voler imputare la colpa della degenerazione partitica e politica ad un unico attore sociale, che siano i partiti o la moltitudine degli elettori, potremmo però domandarci se sia davvero la politica ad adeguarsi all’orizzonte di attesa dell’elettorato oppure viceversa. Possiamo chiederci se non siano più che altro i partiti a credere che una politica ‘mordi e fuggi’ sia ciò che la stragrande maggioranza della popolazione vuole e per questo perseguano questa strada senza realmente ascoltare la volontà popolare. Non può essere proprio la poca fiducia che la politica ripone nella capacità degli elettori a comprendere discorsi più complessi ad allontanare le persone dalla politica? Sembra che si sia rotto il ponte di connessione tra politica e popolazione, che questi due soggetti abbiano iniziato a parlare lingue diverse incapaci di comunicare perché fossilizzati sull’idea di aver fin troppo capito l’altra parte. Non potrebbe essere il calo della partecipazione democratica, tra le altre cose, indice del fatto che si è ormai innescato un’altra tendenza e che parte della popolazione vuole che la politica ritorni a prendere sul serio il proprio elettorato, dimostrandosi volenterosa di affrontare insieme le gravi situazioni in cui versa il paese e di ricostruire quel ponte che è saltato in aria da ormai trent’anni?

“C’è stato un grande terremoto negli anni 90, tangentopoli, crollo dei partiti di massa, ma c’è stato un tentativo di uscirne in direzione populistica, continua Valentina Pazè, Abbiamo avuto una svolta nelle retoriche: quante volte abbiamo sentito dire che alle elezioni si elegge il governo anche se siamo una forma di governo parlamentare? Farlo credere all’elettore e presentarsi davanti all’elettore promettendo cose che non si possono mantenere disabitua a giocare al gioco democratico. Questo prevede una serie di mediazioni e che l’elettore sappia che non sta eleggendo un governo, che il partito che vota non governerà da solo ma cercando di mediare con altre forze politiche. Dovremmo ripartire da Hans Kelsen che diceva che non esiste democrazia senza partiti; la democrazia richiede soggetti collettivi entro i quali i cittadini possano discutere, elaborare, crescere politicamente. Senza la ricostruzione di soggetti collettivi di qualche tipo non vedo uscita da questa situazione politica che va sempre più verso il populismo. Non si tratta di mitizzare il passato ma di ragionare su come rivitalizzare dei soggetti collettivi e su come farlo nel nuovo contesto.”

Si può rivedere il video della conferenza in streaming sul canale Facebook del Polo del ‘900 all’indirizzo: https://www.facebook.com/ilpolodel900/

Chiara

chiaral@vicini.to.it

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