Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Cambiar vita con il rugby

E’ possibile grazie al gioco di squadra insegnato ai detenuti del carcere di Torino.

Drola in dialetto piemontese significa “cosa strana”, come può esserlo la pratica del rugby   avviata  nella Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino. Iniziativa intrapresa nel 2011, primo esempio in Italia e in Europa, all’epoca della direzione di Pietro Buffa che accolse la proposta di un ex giocatore, Walter Rista, nominato per questo nel novembre 2021 Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Mattarella, e confermata dall’attuale direttrice del “Lorusso e Cutugno”  Cosima Buccoliero.

Lo sport anglosassone ha in sé le valenze educative ideali:  promuove il fai play e un comportamento in campo rispettoso delle regole: per questo può contribuire alla riabilitazione dei detenuti. Il gioco di squadra, sostenuto da spirito di sacrificio, tensione al risultato e collaborazione, rimodella i caratteri e induce al senso di responsabilità, tanto che due componenti de «La Drola», tempo fa, hanno rinunciato agli arresti domiciliari scegliendo di  restare dietro le sbarre fino a fine  campionato.

In squadra ci sono dai 28 ai 34 elementi: età minima 18, massima 35 anni. Arrivano tramite un bando annuale di reclutamento, aperto ai reclusi di tutta Italia, e 3 volte all’anno ci sono bandi regionali del Provveditorato  Piemonte, Liguria, Val d’Aosta, rivolti a una ventina di carceri e a circa 4000 detenuti. I selezionati   devono sottoporsi a un periodo di prova, sotto osservazione da parte di compagni di squadra, agenti, ispettori, educatori. Indicativamente dopo poco più di un mese,  se ritenuti affidabili, vengono confermati e si trattengono nel padiglione E del “Lorusso e Cutugno” fino a fine pena. Non è indispensabile che siano bravi a giocare, ma che vogliano cambiar vita e l’istituzione offre quest’opportunità a detenuti a media e bassa sicurezza: ladri, rapinatori e spacciatori. Chi è al 41 bis, l’alta sicurezza, chi ha fatto violenze a donne e bambini non viene ammesso.

Il direttore sportivo Romano Sirotto  racconta la sua esperienza  nel gruppo di 10 volontari di cui fa parte, insieme all’inossidabile Rista,  impegnati nella riabilitazione dei reclusi  attraverso la palla ovale.

Perché lo sport è utile nel recupero dalla devianza?

Innanzitutto la condizione di vita in un penitenziario è sempre difficile.  Spesso l’essere chiusi tra quattro mura, sia della cella che del carcere stesso, annulla la volontà del detenuto che si lascia andare e non cerca stimoli all’interno della struttura. In qualche modo, si imbruttisce. Andare oltre all’ora di passeggio, fare sport, ritrovare o scoprire la dinamica del movimento del proprio corpo aiuta a sentirsi vivi ed affrontare meglio il periodo di detenzione. I dati  sulle recidive confortano: si è passati dal 75% a meno del 30%.

Il rugby può essere “strumento educativo” sia per la vita in penitenziario che, dopo,  nella realtà esterna?

A differenza di altri sport, il rugby esalta il lavoro del collettivo, traendo da ognuno, dal singolo quindi, ciò che può essere dato di utile al gruppo. C’è l’Ange Capuozzo di turno, ma non c’è il Ronaldo. Qui tu segni la meta perché hai altri 14 compagni di squadra, che hanno sudato, faticato, sofferto per farti segnare. In campo ci vuole innanzitutto il sostegno del compagno in ogni azione, non puoi giocare da solo, ci vuole cioè fiducia nell’altro.  La condizione carceraria, porta a vivere spesso se stessi contro tutti, l’Io che deve sopravvivere in condizioni difficili. Dopo il periodo di pandemia si sta ricostruendo la squadra, e il capitano, al termine di un allemento disse ai nuovi arrivati indicando gli altri padiglioni: noi non siamo di là, qui valiamo tutti allo stesso modo, noi siamo un gruppo e lavoriamo, i più bravi e i meno bravi, per giocare a rugby tutti insieme. Poi, c’è il rispetto dell’arbitro e dell’avversario, che non sono solo scritti sulla carta. Se protesti il primo a richiamarti è un tuo compagno, parla solo il capitano, e il corridoio con i saluti tra giocatori che si fa al termine dell’incontro è sincero, preludio del terzo tempo.

Con quali squadre si confrontano i vostri giocatori?

“La Drola” è inserita in un girone regionale di serie C al quale partecipano altre sei squadre, Collegno, Cus Torino, Moncalieri, Volvera, Val Tanaro, Pedona Cuneo. Le partite si giocano tutte, per ovvie ragioni, sempre in casa de “La Drola”, diciamo…tra le mura amiche. Non manca però un momento tradizionale e di aggregazione che esiste così solo nel rugby: il terzo tempo. I giocatori ospiti si trasferiscono dal campo al Padiglione dove sono accolti dai ragazzi ed insieme si mangia  la pizza appena sfornata dalla panetteria dell’Istituto e si bevono bibite. Il terzo tempo è un momento particolare nel rugby, è quando ciò che è successo in campo, i colpi ricevuti e dati e, a volte, le incomprensioni, scompaiono, resta la palla ovale che accomuna tutti, così il parlare, il confrontarsi con persone “esterne” fa bene ad entrambi i gruppi. Ci sono giocatori che regalano ai ragazzi le proprie maglie da gioco o i nostri che prendono la parola per ringraziare ad alta voce la condivisione con loro di un pomeriggio diverso e fuori dagli schemi della vita carceraria.

C’è qualcosa che i detenuti le stanno insegnando?

Già scegliere di approcciarsi ad una realtà così è qualcosa che ti fa crescere, anche a sessant’anni. Superi i tuoi pregiudizi e anche l’astio che hai accumulato nella tua vita, per un furto o una violenza subita. E’ molto importante considerare  chi hai di fronte non come etichette dispregiative ma come essere umano, con problematiche e situazioni personali che scopri nel tempo. Poi impari a conoscere chi bluffa, chi mente e chi si impegna, chi cambia. Un ragazzo mi ha detto: se fuori avessi conosciuto il rugby non sarei finito qui, oppure un altro – sul quale non avrei scommesso, mi sembrava rissoso, capriccioso, polemico – adesso chiede il mio giudizio su come ha giocato, è arrabbiato quando un avversario lo supera, non polemizza, aiuta gli altri a crescere, vuole imparare; e poi c’è  quello che chiede di presentarlo a qualche squadra quando uscirà, e c’è chi si è messo a studiare . Quasi tutti puntano a trovare un lavoro a fine pena e cambiare vita, magari insegnando il rugby, come il marocchino che ora allena under 14 dawn e autistici del Cottolengo

(foto di azioni di gioco fornite da Fabrizio Ferrian)

Anna SCOTTON

annas@vicini.to.it

 

 

 

 

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