La “fortezza Europa” e le sue debolezze è il titolo di un intervento tenutosi nell’ambito del Salone Internazionale del Libro di Torino. L’incontro, coordinato da Helena Janeczek, ha avuto come ospiti tre scrittori che per diversi motivi sono legati alla tematica della migrazione: Francesca Melandri, Paolo Rumiz e Hamid Ziarati.
Non è un segreto che l’Europa stia diventando una roccaforte, e non si parla solo dei campi profughi che vengono costruiti, come quello appena inaugurato a Samos in Grecia, che intrappola tra filo spinato, telecamere e scanner circa tremila persone profughe e richiedenti asilo. Non si parla neanche soltanto dei nuovi muri che dodici paesi europei hanno chiesto di finanziare a Bruxelles per “proteggersi” dalla possibilità di una nuova ondata di profughi, in maggior parte provenienti dall’Afghanistan. Quando si parla di Europa fortezza non si deve pensare solo al Patto sull’immigrazione e l’asilo, proposto dalla Commissione europea un anno fa e che si concentra sul rafforzamento delle frontiere esterne, e neanche solo alla cedevolezza dell’Unione Europa ai ricatti di dittatori stranieri da Muammar Gheddafi, a Recep Tayyip Erdoğan, fino al bielorusso Aleksandr Lukašenko. L’immagine della fortezza Europa è percepibile al di là dei muri che erige e dei patti concreti che essa stipula; è un atteggiamento diffuso nella sua popolazione, è lo sguardo di sdegno o paura che un uomo rivolge a un altro sul pullman, i post su Instagram di certi politici, in definitiva la completa ignoranza di tutto ciò che è il mondo a est dell’Europa.
L’incontro, sulla scia di Canto per Europa, l’ultimo libro di Rumiz, cerca di analizzare le contraddizioni dell’attuale politica europea nei confronti dei migranti: dall’illusione di poter contenere il fenomeno, allo spreco delle opportunità che può schiudere l’incontro con l’Altro, alla vendita di armi ai paesi in guerra e al finanziamento di regimi dittatoriali. Partendo dalle parole di Francesca Melandri vediamo quanto effimera sia la pretesa europea di poter controllare il fenomeno migratorio: Pesiamo alla Bulgaria: ha costruito un muro da cui spara e uccide i migranti e che è espressione dell’azione più efferata della chiusura della fortezza Europa. Allo stesso tempo però è un paese che sta invecchiando e a un certo punto, tra qualche decennio, passando anche attraverso episodi di dolore e violenza, sarà popolato da altre persone. Il fenomeno delle migrazioni lo si deve certamente guardare dal punto di vista della lesione dei diritti umani e delle violenze perpetuate ai danni delle persone, ma la migrazione è la condizione naturale dell’essere umano. Fare finta che si possa scegliere che le migrazioni ci siano o non ci siano è una grande illusione: la migrazione è un fenomeno naturale, è ciò che ha scandito la nostra esistenza in quanto specie umana. L’unica scelta che si ha di fronte a fenomeni così vasti è solo quella se sviluppare un pensiero su come gestirli o se esserne travolti.
A giudizio dello scrittore triestino Paolo Rumiz, l’Unione Europea non si rende conto, o non vuole rendersi conto, degli enormi danni che le sue politiche creano non solo alle persone che cercano di raggiungere il vecchio continente ma agli stessi paesi dell’Unione, privati così di nuove forze vitali e spunti di crescita che possono essere forniti solo dall’incontro con l’Altro: Sono figlio della frontiera. […]La frontiera è come il pennino di una macchinina che traccia su un foglio arrotolato spinte e movimenti di geopolitica che arrivavano da lontano. Ho cominciato a percepire fin da bambino un grande interesse verso ciò che è al di là della frontiera, verso Oriente perché nell’Occidente trovavo cose che mi assomigliavano troppo […] ed è nata anche una conclusione molto chiara che si è rafforzata negli anni: noi siamo figli dell’Oriente, l’Europa è nient’altro che una protuberanza dell’Asia. Ancora oggi quando spiego ai miei nipotini che cos’è l’Europa, dico loro che è un punto d’arrivo di popoli perché oltre non si può andare, oltre c’è l’oceano. È un punto d’arrivo in cui i popoli sono costretti a restare e a convivere generando magnifici esempi di cultura e civiltà o a combattere tragicamente tra di loro. La nostra storia è sempre stata in bilico tra questi due elementi con l’aggravante che oggi siamo molto più ignoranti dell’Altro rispetto ai tempi della battaglia di Lepanto, quando nonostante la guerra, Venezia continuava a commerciare col nemico turco. […] Abbiamo perso la percezione fisica, tattile, emozionale del diverso che ci viene incontro.
Un’altra delle fallimentari strategie proposte da alcuni politici europei, secondo lo scrittore Hamid Ziarati, è quella di sovvenzionare gli stati limitrofi ai paesi fonte di emigrazione, al fine di contenere il fenomeno (come nel caso dell’Afghanistan). Questo atteggiamento, secondo lo scrittore iraniano, non vuole tenere conto della natura politica dei paesi finanziati e del fatto che il “problema dell’Altro” non è presente solo nei paesi occidentali.
I miei primi 15 anni di vita li ho vissuti a Teheran, dice Hamid Ziarati, Da metà degli anni ’70, c’era già una forte immigrazione afgana in Iran con le prime avvisaglie di razzismo nei confronti degli afgani. Immaginate gli immigrati che al sud Italia raccolgo i pomodori per due o tre euro all’ora e vivono in queste sorte di capanne subendo un razzismo incredibile, elevate a dieci quella sofferenza e a quel punto potrete immaginare cosa succede a un afgano in territorio iraniano. I politici italiani e europei, che sostengono di dover aiutare i paesi limitrofi all’Afghanistan per soccorrere gli immigrati, mi fanno ridere perché basterebbe guardassero cosa succede in Iran. Purtroppo l’umanità ha la pretesa di sentirsi superiore rispetto al resto dell’umanità. Gli iraniani ad esempio si considerano persiani e quindi superiori agli arabi. È un discorso culturale e non esclusivo di Italia e dell’Europa. La migrazione è sempre esistita da quando esiste l’uomo quindi cercare di costruire una fortezza d’Europa è la cosa più idiota che si possa fare e pensare di risolvere situazioni locali lavandosene le mani e affidandola ai paesi limitrofi è un’idiozia ancora più grande. I paesi intorno all’Afghanistan sono paesi prevalentemente non democratici: non c’è libertà d’espressione, si vota ma i candidati, almeno in Iran, vengono selezionati dalla Corte Suprema che decide quelli che possono essere candidati alla presidenza della Repubblica.
Come sottolinea Hamid Ziarati, l’Unione Europea continua a sbagliare strategia nei confronti dei migranti, fomentando un circolo vizioso senza fine: Nel 1881, l’anno in cui sono venuto in Italia, continua Ziarati, c’era la guerra tra Iran e Iraq e la maggior parte dei miei coetanei sono saltati sulle mine costruite da Italia e Germania, per questo ho percorso cinquemila chilometri per venire in Europa. Il continuo piegarsi per qualche punto di PIL a livello economico di fronte a paesi dittatoriali, rispondendo che se non forniamo noi le armi le fornisce la Russia, o la Cina, mi sembra un discorso idiota. L’Italia dovrebbe dare l’esempio agli altri paesi e bloccare la produzione di armi. Credo questo sarebbe un primo passo per fermare quel flusso di emigrazione che proviene dalla guerra o dalla fame. Spesso inoltre i politici pontificano sul fatto che vi è una migrazione incontrollata, ma in questi anni non ho visto nessun provvedimento che andasse verso una regolarizzazione, anzi. Nell’89 la legge Martelli ha suddiviso i richiedenti asilo in due gruppi: a Torino ad esempio tutti gli asiatici (esclusi i giapponesi) e tutti gli africani e sudamericani devono recarsi in questura in corso Vinzaglio per il permesso di soggiorno; qui la fila è tanto lunga che addirittura una volta il permesso di soggiorno mi è arrivato che era già scaduto. Invece gli altri immigrati, che provengono dai paesi ricchi come gli Stati Uniti, il Giappone, il Canada, devono recarsi in un’altra sede e qui le procedure sono molto più sbrigative.
L’Europa continua a investire energie e denaro in progetti che invece di migliorare la criticità del fenomeno migratorio, la esasperano, il più delle volte agendo contro gli interessi dell’Unione stessa e condannandola alla lenta agonia di una città assediata.
Chiara
chiaral@vicini.to.it
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