Tra le opere presenti a questo Torino Film Festival che rivelano scelte di stile, di contenuto e linguaggi innovativi o originali segnaliamo senz’altro Unrest, del regista elvetico Cyril Schäublin (CONCORSO LUNGOMETRAGGI), già premio per la regia all’edizione di quest’anno del festival di Berlino. 1872: in una regione della Svizzera l’operaia di una fabbrica di orologi Josephine entra in contatto con Pyotr Kropotkin l’ideologo russo di quell’anarchismo che era una sorta di sindacato a sostegno delle lotte dei lavoratori per il controllo dei tempi e metodi di lavoro. Sostenuto nel 2019 dal Torino Film lab, che conferma il prezioso lavoro di supporto alla giovane creatività internazionale, il film accuratamente documentato e riflessivo, non facile, volge lo sguardo al mondo del lavoro passato per capire la storia del capitalismo industriale, e rivela un uso singolare della camera fissa e dell’inquadratura, che richiama la fotografia dell’epoca.
Con La pietad (CONCORSO LUNGOMETRAGGI), lo spagnolo Eduardo Casanova, ha realizzato una conturbante metafora sulla maternità tossica.
Mateo è un giovane uomo figlio di Libertad (Ángela Molina, una delle muse di Pedro Almodóvar) e vive con lei in un rapporto simbiotico. La donna riesce ad esprimere tutte le relazioni solo in forma di potere e controllo, a cui allude anche l’ attenzione che presta ai notiziari televisivi sulla Corea del Nord (il film è ambientato nel 2011, anno della morte di KimJong-il). Estetizzante ed eccessivo, come il colore rosa che avvolge i protagonisti e ogni cosa e richiama la funzione di anestetico e strumento di “distrazione di massa” che lo stesso colore assolve nel regime oppressivo di Kim Jong-un.
LA LUNGA CORSA (CONCORSO LUNGOMETRAGGI) di Andrea Magnani, coproduzione Italia – Ucraina, l’unico titolo italiano in gara, parte da lontano: anni fa il regista era venuto a conoscenza, tramite un rapporto dell’Associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei detenuti, della condizione dei bambini che vivono in carcere. Il film è la storia surreale di Giacinto, cresciuto in una prigione che riconosce come casa: il registro fiabesco consente di presentare l’evoluzione di un personaggio che è una sintesi tra Candido, Lazzaro (il protagonista Adriano Tardiolo è anche l’attore principale del film di Alice Rohrwacher) e Forrest Gump. Realismo magico, tempo e luoghi indefiniti e sospesi vogliono alludere a una condizione esistenziale che ci riguarda: tutti noi, in fondo, siamo “come loro”, come i detenuti, vincolati da catene che ci impediscono di affrontare la vita e che devono essere “viste” per poter essere spezzate.
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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