Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Il bene per Torino

Incontro tra Il Presidente Cirio, il Sindaco Lo Russo e l’Arcivescovo Repole

Sala gremita, il 16 scorso al Teatro San Giuseppe, molti in piedi, al dibattito su “Qual è il bene per Torino” organizzato da “La voce e Il tempo” e voluto dall’Arcivescovo, mons. Roberto Repole. Relatori, con lui, il sindaco Stefano Lo Russo e il presidente della Regione Alberto Cirio.

Modera Alberto Riccadonna, Direttore de “La voce e il tempo”.

La discussione si svolge attorno a tre temi, scelti tra i molti possibili, introdotti da Luca Davico, docente di sociologia urbana al Politecnico di Torino.

Dal punto di vista demografico, Torino è una città in declino. Da un lato molte famiglie straniere ormai tendono a ritornare ai luoghi d’origine; dall’altro molti studenti che popolano le nostre Università preferiscono trovare lavoro in città che sono più attrattive, Milano, Bologna, Firenze. Per certi versi è così anche per le imprese: Milano e Firenze sono più dinamiche: per la nostra città fa eccezione  il settore Aerospazio che rappresenta un quarto dei dipendenti rispetto al settore Auto.  Settore, questo, ancora trainante, ma lo stesso mons. Repole era intervenuto in precedenti occasioni sull’importanza che Stellantis chiarisse i suoi piani per il futuro. Come dire, meglio sapere che sperare.

Si discute di Sanità. Sui tagli, che provengono, sottolinea Cirio, dalle gestioni di anni precedenti: occorre una inversione di tendenza. E la Sanità privata può e deve svolgere il suolo ruolo che è  di sussidiarietà. Poi le difficoltà, continua, sono dovunque: “quando decidiamo di investire in un ospedale nuovo, i cittadini lo vorrebbero chi qui e chi là”.

Il dibattito prende quota sui temi sociali. Dominano le disuguaglianze. La preoccupazione deriva dal fatto che ad una maggiore ricchezza non corrisponda di per sé una riduzione delle disuguaglianze: anche in centro ci sono aree disagiate accanto ad altre conosciute come facoltose.

Secondo Lo Russo non c’è sviluppo senza coesione sociale. Non sono termini in contraddizione. La Metro 2 potrebbe contribuire a ridurre il disagio sociale. Gli investimenti pubblici in infrastrutture rappresentano sempre un passo fondamentale. Su questo Torino ha forse un passato più difficile rispetto ad altri. Si pensi ai migranti: 150.000 persone in un clima che li considera poco utili: abbiamo molte politiche di accoglienza, ma vediamo famiglie che fanno la fila per il permesso di soggiorno.

Il presidente Cirio non ha esitazioni: la politica non può essere accogliamoli tutti. Come mai via terra non arrivano migranti? Perché paghiamo la Turchia per trattenerli. Poi qui non vogliono restare, i boschi di Claviere sono pieni di giovani che cercano di passare la frontiera. Solo alcuni ci riescono.

Il sindaco Lo Russo ha una visione diversa: il modello Torino è uno standard. Nelle scuole 1 studente su 4 è straniero. E’ così da quando i giovani scendevano dalle colline per andare a lavorare nelle botteghe artigiane lungo la Stura o negli “opifici”. Poi dal Sud, “lo vedete, io stesso non ho propriamente un nome che ricordi una provenienza da Vipiteno”. Poi arrivano i “Vu cumprà” e gli Albanesi. (E come non ricordare ben prima i Veneti provenienti dall’alluvione del Polesine e i profughi Istriani, possiamo aggiungere). Perché non concedere la cittadinanza italiana ad un bambino straniero, ad esempio quando abbia terminato la scuola dell’obbligo? Certo non possiamo trascurare la situazione di Barriera di Milano, dove però il fenomeno sociale è la criminalità.

Per mons. Repole, occorre assicurare agli stranieri la stessa dignità che vogliamo per noi. Siamo una società impoverita anche moralmente. Serve una città inclusiva e questa è la città dei Patti Sociali. L’economia non può essere l’unico modo di leggere una società. L’”economismo” rischia di far saltare le strutture sociali. Si tratta di investire sui giovani: l’educazione, certo, ma anche costruire un modello di uomo. Forse siamo noi adulti ad essere pervasi da nichilismo, dobbiamo insegnare ai giovani che tipo di uomo dovranno essere.

«Contro lo sconforto di non sentirsi soli e isolati, una comunità di persone che guadano al di là del proprio ombelico è fondamentale», ha concluso mons. Repole.

A sentire i commenti, sussurrati dai presenti stipati ed accaldati, si percepisce una platea divisa ma anche partecipe e motivata. Sarà irriverente, ma sembra di essere nel bar di un paesino con le tre autorità, il medico, il sindaco ed il parroco, come in una foto di altri tempi. La sensazione condivisa è che, se non si può certo progettare il futuro di una grande città metropolitana in un dibattito a tre di due ore, (“non è una serata per dire qualcosa in più” apriva il moderatore), ma l’idea di mettere ad un tavolo i rappresentati delle tre principali istituzioni cittadine è rassicurante.

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


*