Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Ex INCET: un amarcord

Aveva lavorato alla INCET, lo zio Tasca. Anche la moglie, e la signora Maffei.

Nel salotto del loro alloggio, nella casa a ballatoio di Corso Regio Parco 24, c’era un oggetto, forse un posacenere, che esibiva un polipo di cavi, tranciati per mostrarne la sezione, affogati dentro un materiale trasparente, con una grande scritta, INCET.

I Tasca e la Maffei (vedova? zitella?) abitavano al 5° piano ed avevano commesso un abuso: essendo le loro abitazioni alla fine del balcone che disegnava il lato cortile della la casa, avevano chiuso l’accesso con un cancello.

Per questo non erano ben visti dal resto degli abitanti del caseggiato: quella delle case a ballatoio era una comunità, con tutti i tratti della tribù: c’era madama Lazzero che, avendo un banco a Porta Palazzo disponeva di una ghiacciaia e si prestava a conservare qualche alimento deperibile anche per gli altri-ma non tutti-, la Signora Croce, una meridionale un po’ caciarona che, per questo, ma più per l’altro motivo, rimaneva un po’ ai margini, poi, noi e la signora Antonietta con cui si facevano le gite fuori porta e i festeggiamenti sul balcone.

E il signor Tasca, (non proprio uno zio, io lo chiamavo così), che ogni tanto mi portava allo stadio (non ricordo a vedere quale squadra, ma, dato l’imprinting, sospetto fosse il Torino). O a vedere il pugilato. Una volta riuscì a farmi regalare un paio di guantoni da boxe non più utilizzabili, che mia madre mi fece subito restituire, perché, secondo lei io al massimo avrei potuto giocare a bocce.

Alla sera salivo al 5° piano mentre la signora Tasca preparava il “baracchino” per l’indomani: nella parte inferiore, destinata ad ospitare il minestrone o la pasta, metteva invece la “crema rosa”, una specie di crema pasticcera molto profumata che a me sembrava un nettare, mentre ripulivo il cucchiaio ed il grilletto.

All’epoca, primi anni ’50, la INCET si era trasferita e loro lavoravano alla CEAT. Curioso gemellaggio, quello tra INCET e CEAT. Fondata da Vittorio e Giuseppe Tedeschi la prima (1888), da Virginio Bruni Tedeschi la seconda (1925), mentre Alberto Bruni Tedeschi si era dedicato con successo alla musica, e con ancora maggiore successo a procreare Carla Bruni, Carlà con l’accento sulla a.

Sull’edificio ex INCET oggi, dopo oltre quarant’anni dalla dismissione della fabbrica che occupava l’isolato tra le vie Cigna, Cervino, Banfo e corso Vigevano, la Città di Torino sta lavorando per trasformare quel “vuoto” nel maggior polo di servizi del quartiere, aperto a tutti e ricco di iniziative.

Per l’ex-Incet accadrà qualcosa di simile a ciò che è avvenuto nel corso dell’esperienza di Urban a Mirafiori, con la trasformazione della Cascina Roccafranca da spazio abbandonato in cuore pulsante della zona, attrezzato e vivace. Un’opera lunga e faticosa, dalla bonifica dai residui bellici e sfridi di lavorazioni, a quella dell’amianto. Complicata dalla mancanza di un archivio aziendale della vecchia fabbrica.

Quando la visiteremo, portata a nuova vita, ci ricorderemo anche un po’ dello zio Tasca.

Dopolavoro INCET

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