
In Sudtirolo molti visitatori realizzano foto e selfie sulle rive di un lago dalle cui acque emerge la punta di un campanile, che sembra un dito rivolto al cielo. Si tratta del lago di Resia e il campanile trecentesco è ciò che rimane dell’antico borgo di Curon Venosta.
Unificando il lago di Resia, il lago di Curon e il lago di San Valentino alla Muta, è stata costruita una diga, attivata nel 1950, che ha cambiato la fisionomia del territorio e sottratto la terra all’agricoltura e alla pastorizia, sommergendo case e masi.
La vicenda della realizzazione di quel bacino artificiale è raccontata da Marco Balzano, scrittore- insegnante quarantenne che vive nell’hinterland milanese, nel romanzo “Resto qui” (ed. Einaudi, 2018) presentato dall’autore alla biblioteca Amoretti di Torino lo scorso 18 aprile, all’interno di “Leggermente”, iniziativa che continua a macinare con successo incontri tra scrittori e lettori nella nostra città.
Marco Balzano arriva per la prima volta in Sudtirolo quattro anni fa: il suo sguardo ferma l’istantanea del campanile svettante, che allude ad una realtà sommersa, oscura, che stride con le canoe sull’acqua e i bagnanti inconsapevoli sulla riva. Decide di capire le ragioni di quel contrasto, di raccontarle in una “storia intima e personale attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola” e stabilisce che a narrarla sarebbe stata una donna.
Così prende vita l’epopea di Trina e della sua famiglia, dal 1923 al dopoguerra, in una comunità altoatesina attraversata da Fascismo e Nazismo, nalla quale la donna decide di assumere il compito di maestra clandestina, come dire “madre della lingua” tedesca, in un territorio violentato culturalmente dal regime mussoliniano. Personaggio insieme forte e vulnerabile, Trina dovrà fare i conti, nel corso della sua vita, con “dolori taciuti che diventano cicatrici”, per dirla con Balzano: la scomparsa della figlia, la fuga sulle montagne con il marito, divenuto disertore, per diversi mesi, fino alla fine della guerra. E, infine, il progetto prevaricatore e insensato della Montecatini di realizzare un’ enorme diga che seppellirà il suo paese.
La storia della sommersione di Curon è poco nota, e vissuta con pudore sofferto dagli abitanti, tanto che alcuni loro figli ne sono venuti a conoscenza casualmente attraverso il libro di Balzano. I materiali raccolti nelle ricerche d’archivio, le testimonianze di esperti di memoria locale e le interviste ai “cinque testimoni di Curon, contraendo debiti inestinguibili”, hanno fornito la materia grezza a cui Balzano ha dato forma letteraria attraverso una scrittura rigorosa e coinvolgente.
Colpisce, infine, il tema del “restare” per un autore che da “Il figlio del figlio” a “L’ultimo arrivato”(premio Campiello 2015), le sue opere precedenti, ha trattato di preferenza la realtà dell’emigrazione. Ma se “andare” è connaturato all’uomo, vale la pena di restare quando significa resistere, come ha cercato di fare la popolazione di Curon e Resia, addirittura appellandosi ad Alcide De Gasperi e al Papa Pio XII, organizzando manifestazioni dimostrative, pur di salvare la propria comunità e le proprie cose.
Insomma: la vicenda di Trina apre uno squarcio di umanità nel dramma di quella terra e di quella diga, in quanto se “la Storia è disumana, la letteratura si occupa di ciò che è umano”, come osserva Balzano che conclude: siamo consapevoli che “il progresso non è mai progresso per tutti”, ma “in Svizzera quando costruiscono delle dighe fanno un referendum, perchè si devono sondare democraticamente i cittadini” . Materia quanto mai attuale: non a caso, i primi a contattare l’autore di “Resto qui” per un incontro di presentazione del libro sono stati i No TAV.
Anna Scotton
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