Per quei molti di noi che si sentono scoraggiati nel vedere l’aumento delle mascherine anticovid abbandonate in giro forse è utile sapere che :
Una stima preliminare del Politecnico di Torino prevede che in Italia saranno utilizzati fino a un miliardo di mascherine usa e getta e circa 500 milioni di guanti al mese, con una produzione di rifiuti di circa 70 mila tonnellate annue .
Numeri inquietanti e molto inquietante anche l’ ignoranza di tutti noi rispetto alla differenziazione di questi come di altri rifiuti.
Utile forse sapere che i dispositivi di protezione individuale (DPI) sono costituiti principalmente da materiale composito e quindi non riciclabile e sono potenzialmente infetti: non si possono quindi differenziare né riciclare. Il loro corretto smaltimento diventa una priorità.
È necessario dunque fare una distinzione tra i rifiuti sanitari, provenienti dagli ospedali, e quelli utilizzati dalla popolazione generica.
Le mascherine e i guanti a cui ricorre la popolazione vengono invece considerati rifiuti urbani e l’Istituto Superiore della Sanità suggerisce di smaltirli nei contenitori destinati all’indifferenziato.
Bisogna però fare un’ulteriore precisazione: in caso di positività a Sars-CoV-2 e isolamento presso il proprio domicilio l’ISS consiglia di non fare la raccolta differenziata, ma gettare tutti i rifiuti (mascherine e guanti compresi), in due o tre sacchi uno dentro l’altro, nell’indifferenziata.
L’impatto ambientale dell’uso massiccio di questi presidi sanitari è reso ancora più grave dal loro abbandono, più o meno consapevole. I guanti e le mascherine che si trovano ovunque nelle strade, sono pronti a essere trasportati dal vento e dalla pioggia verso tombini e corsi d’acqua, tutti con un’unica destinazione finale: il mare.
E lì resteranno, insieme agli altri 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che ogni anno vi finiscono!
E’ evidente che occorre una procedura emergenziale di smaltimento di questi rifiuti oltre l’uso, ad esempio, di mascherine riutilizzabili, almeno quelle definite di “comunità” (impiego non sanitario).
Fondamentale sarebbe fornire il territorio di contenitori appositi da installare nelle aree pubbliche e produrre dispositivi in polimeri unici e singoli componenti che non vadano smaltiti come rifiuti sanitari, ma che possano essere più facilmente smaltiti o riciclati.
Pur nella consapevolezza che il mondo si trova in una imprevista emergenza sanitaria (e anche socioeconomica), è necessario che tutto ciò non si trasformi anche nell’ennesima emergenza ambientale che questa volta potrebbe essere irrisolvibile.
Giulia Torri
giuliat@vicini.to.it
Lascia un commento