Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Verso una costituente della medicina territoriale

“Solo potenziando la medicina territoriale sarà possibile rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale”

La pandemia ci ha lasciato un’eredità pesante in termini economici, psicologici, di salute; e consapevolezza delle potenzialità ma anche dei limiti del nostro SSN. Frutto di molte carenze, sia di finanziamenti che di programmazione, di formazione delle risorse umane necessarie, come della precarietà e diversità di una medicina del territorio mai definitivamente decollata, della vetustà tecnologica di alcune realtà sanitarie territoriali ed ospedaliere, della contraddizione di un regionalismo imperfetto.

Cosa ci ha insegnato COVID-19?  Occorre procedere ad un rapido ammodernamento del sistema in tutti i suoi aspetti per arrivare a proposte nuove, rivoluzionarie, fresche e che soprattutto vadano incontro agli interessi veri dei cittadini italiani.

Nel mondo degli addetti ai lavori nella Sanità, non ci si nasconde l’importanza del compito di utilizzare al meglio le ingenti risorse destinate al rafforzamento ed all’innovazione.

E’ questo l’oggetto della conferenza FOCUS PIEMONTE: “Verso una costituente della medicina territoriale. Un cantiere nelle varie Regioni per un nuovo modello”;  una Road Map organizzata on line il 30 giugno scorso da Motore Sanità, organizzazione che progetta e realizza eventi di alto livello in campo sanitario e sociale.

Cerchiamo di cogliere alcuni degli spunti.

È di 20,23 miliardi lo stanziamento del Recovery Plan per rafforzare ospedali e presidi locali”, introduce Claudio Zanon Direttore scientifico di Motore Sanità, descrivendo lo scenario.

La missione salute (M6) si divide in due componenti:

  • L’assistenza di prossimità e la telemedicina;
  • L’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione dell’assistenza sanitaria, per potenziare le attrezzature ospedaliere, la ricerca scientifica, il trasferimento tecnologico e la preparazione dei medici.  7 miliardi arrivano direttamente dal PNRR e sono destinati a mettere in piedi un sistema di assistenza sanitaria di prossimità fondato su tre gambe.
  • Dalle “Case di Comunità”, che ricalca il modello Case della salute, presidi socio-sanitari destinati a diventare il punto di riferimento, accoglienza e orientamento ai servizi di assistenza primaria di natura sanitaria.
  • Dall’assistenza domiciliare, rendendo l’home care un punto sostanziale di presa in carico del paziente. Il Piano finanzia anche progetti di telemedicina proposti dalle Regioni.
  • La terza gamba è rappresentata, infine, dalla realizzazione dai presidi sanitari a degenza breve (Ospedali di comunità) destinati a svolgere una funzione “intermedia” tra il domicilio e il ricovero ospedaliero.

Mario Minola, Direttore degli Assessorati alla Sanità e alle Politiche Sociali del Piemonte, nel portare i saluti istituzionali, descrive il perimetro di questi interventi “Verso una nuova idea di medicina territoriale”.

Parlerei non di medicina ma di assistenza territoriale. La cornice su cui muoverci, infatti è un intervento interdisciplinare multiterritoriale. Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari ha già dato le sue indicazioni:

  • 93 Case della Comunità  (valore 1,5 milioni), che dovranno essere luoghi facilmente riconoscibili dove il cittadino possa trovare trovi tutte le risposte necessarie in modo coordinato
  • 43 Centrali operative territoriali (valore 150.000 €) localizzate una per distretto, interfaccia tra ospedale e territorio e le basi operative (118, 116, 117) dovranno in pratica coordinare il lavoro dei professionisti
  • 27 Ospedali di comunità indicativamente da 20 posti letto (2,5 milioni). Sono le strutture intermedie che praticamente in Piemonte non esistono, se non per qualche tentativo sperimentale.

I tempi: a Settembre la deadline per individuare le ASL di riferimento ed entro dicembre le localizzazioni.

Il mandato è cambiare, cambiare secondo questo modello precostituito a livello nazionale che le Regioni dovranno declinare. Le strutture dovranno essere “popolate” con tutta la serie di figure professionali che dovranno andare dal medico all’assistente sociale. E integrare il ruolo dei Comuni e dei servizi sociali per le loro competenze.

Questa la cornice, questi i soldi”, tenendo presente che si dovrà rendicontare non solo la spesa ma anche i risultati. “Garantire la continuità ospedale-territorio.  Non farci trovare impreparati. Incontrarci con le varie ASL per creare la mappa, le figure professionali; formazione e preparazione coinvolgendo le sedi universitarie”, conclude Minola.

Non mancano criticità e dubbi. La Federazione dei medici di medicina generale FIMMG si è dichiarata perplessa al trasferimento dei medici di base e pediatri nelle Case di comunità che opereranno 24 ore  su 7 giorni senza costi addizionali e con una pianta organica (infermieri, MMG e specialisti) insufficiente.

 “Nella prima fase della pandemia la medicina territoriale ha dimostrato tutta la sua debolezza, con servizi obsoleti non sinergici non in rete con gli MMG, con organici ridotti e scarsa o nessuna informatizzazione”. ha spiegato Carlo Picco, Direttore Generale ASL Città di Torino Regione Piemonte.” Il territorio era debole, sfibrato, legato ai piani di rientro. Ora è stato ripotenziato “anche con programmi di telemedicina, centrali operative, importante incremento numerico degli organici, partnership pubblico privato; quanto ha permesso alla città di posizionarsi quasi sempre come una delle aree Regionali a minor incidenza pandemica (nonostante i fenomeni di urbanizzazione favoriscano gli assembramenti” Contribuendo alla consapevolezza di come reagire a eventi avversi.

Ma si sono creati problemi nuovi: occorrono nuove figure professionali, sia medici che infermieri. E capire come contrattualizzarle. Risolvere il problema del turn-over dei medici.

Ci sono Case della salute incompiute, con i soldi spesi ma divenute solo ambulatori. I Piani centrali definiscono le strutture necessarie in base a una proporzione rispetto alla popolazione: ma non è detto che a più strutture corrisponda un’efficacia maggiore. Occorre presidiarle e “medici ed infermieri non si possono deportare”. Non si devono ripetere gli errori del passato: la parcellizzazione non garantisce un servizio migliore. La soluzione è puntare sulla telemedicina.

Tutto questo patrimonio deve essere conservato e finalizzato a ricostruire in maniera permanente la macchina del territorio mantenendo le capacità operative raggiunte ed indirizzandole verso un modello che sappia prendere in carico il cittadino ed evitare per quanto possibile il ricorso agli accessi ospedalieri.

Quindi prima il modello, ribadisce Claudio Zanon, ospite dell’incontro virtuale, riprendendo l’introduzione della conferenza.

“Vi sono chiare evidenze scientifiche che la Medicina Generale e le Cure Primarie migliorano la salute della popolazione, aiutano a prevenire le malattie e riducono la mortalità e, inoltre, si associano ad una distribuzione più equa della salute nella popolazione. Durante la pandemia abbiamo avuto 4000 medici portati in prima linea, 500 in fase di abilitazione impiegati nelle USCA (con molti medici contagiati). ha dichiarato Roberto Venesia, Segretario Regionale FIMMG.

Una struttura che meriterebbe di essere mantenuta. I finanziamenti invece sembrano andare nella direzione dell’edilizia sanitaria anziché dell’assistenza sanitaria. Si vuole pensare la medicina in funzione dell’ospedale, mentre nella realtà non è il numero degli accessi al Pronto Soccorso che dà la dimensione delle necessità. “E dei 40 milioni di accessi ai medici di base?” Quindi: potenziare la domiciliarità. La telemedicina, certo; ma è nello studio del medico di base che serve l’informatica.

La scelta che indichiamo è la strada di una sanità che investa nella realtà più vicina al cittadino, la sanità territoriale. La Medicina Generale è chiamata a svolgere un ruolo centrale attraverso una riorganizzazione territoriale che sposti il focus dall’ospedale al territorio. La Medicina generale nel suo insieme, ove può avvalersi dell’ ausilio di figure professionali (collaboratore di studio e infermiere adeguatamente formati),della telemedicina; ove ha la possibilità di effettuare direttamente diagnostica di primo livello, è in grado di assicurare, attraverso il lavoro singolo e di squadra, sia la medicina di attesa che la medicina di iniziativa; è in grado di assicurare la diffusione della prevenzione e l’ erogazione delle cure di patologie croniche a un costo accettabile”, conclude Venesia.

La risposta al quesito “Cosa ci ha insegnato l’epidemia del SARS Covid 19” è affidata a Giovanni Di Perri, Direttore Dipartimento Malattie infettive Ospedale Amedeo di Savoia Torino e della scuola di specializzazione di malattie infettive Università degli studi di Torino

“La domanda non è “se avremo” ma “quando avremo” una nuova epidemia”. Ed ecco quanto è successo visto dall’angolo visuale degli scienziati, e come ci difenderemo.

“Chi si ammalava, sviluppava quella che ci era stata descritta come una polmonite virale ed era invece una microangioite trombotica; fenomeni che ci hanno portato all’uso dell’eparina. Messaggio trasferito ai medici di base in modo che si potesse intervenire tempestivamente nei confronti dei soggetti a rischio anche asintomatici e paucisintomatici”.

Secondo passaggio, l’uso del cortisone. Inizialmente controindicato, ma nella seconda fase si è chiarita una forma ad andamento infiammatorio. Cosa succedeva negli ospedali? La prima ondata sembrava portare a  più decessi rispetto alla seconda; poi si è visto che in realtà in tempo successivo i decessi avvenivano più tardi: dopo che l’infezione era passata a quegli strati anagrafici a maggior rischio, cioè oltre i 75 anni. In base ai contagi che si verificavano, i decessi avvenivano con un intervallo di 20 giorni. Questo si traduce in un impegno assistenziale, quindi per i medici ospedalieri occorre sapere in termini predittivi i nuovi contagiati che età hanno, e se l’età è bassa, come succede ora con i vaccini, non ci si aspetta che arrivino in ospedale.

“Quindi, abbiamo imparato che esiste un razionale per intervenire tempestivamente nei soggetti a rischio, perché quelli che hanno una alta carica virale a livello orofaringeo sono quelli che svilupperanno una malattia evolutiva”.

Fra le misure di cui è stato possibile dotarsi è stato l’uso degli anticorpi monoclonali inquadrati nella prima fase, primi giorni. “Purtroppo nella nostra realtà nonostante la nostra disponibilità e 10 punti di somministrazione, a fronte di 60000 infezioni solo 349 pazienti sono stati trattati”.

Altro punto critico: la nostra Regione è quella in cui è stata più bassa la percentuale di pazienti trattati a casa. Certo è la 3° Regione per numero di anziani.

Un passaggio fondamentale ci sarà quando saranno disponibili trattamenti farmacologici in compresse (previste a mesi): in attesa di un tampone o di accertamenti, il trattamento ridurrebbe l’evoluzione della malattia.

Un aspetto positivo: “In ospedale siamo riusciti a usare il casco per ventilazione nei reparti ordinari. Si andava in rianimazione solo per intubazione. Il Piemonte ha potuto risparmiare i posti in rianimazione”

Non partiamo da zero, conclude Zanon, siamo pronti a questa sfida. Serve una programmazione di sistema, e non bisogna dimenticare che quelli di cui si sta parlando sono investimenti, e non saranno replicati negli anni a venire. C’è un problema di sostenibilità.

Sono intervenuti inoltre:

Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Regionale Sanità e Assistenza Sociale, Regione Piemonte, “Il futuro della Sanità in Piemonte

Monica Rolfo, Vice Presidente OPI (Ordine Professioni Infermieristiche) Torino: “Oltre l’ADI: una nuova assistenza domiciliare”

Alessio Terzi, Past President Cittadinanzattiva Piemonte: “Il ruolo delle associazioni dei pazienti per una riforma della medicina territoriale”

Sergio Rosso, Presidente Asili Notturni Umberto I Torino: la presa in carico dei pazienti fragili-un esempio paratico

Gabriella Viberti, Ricercatrice Economia Sanitaria, Organizzazione e Valutazione della performance dei servizi, spesa e finanziamento IRES Piemonte: “Spunti per lo uno sviluppo della medicina territoriale”.

Paola Varese, Direttore SOC Medicina a indirizzo oncologico Ovada ASLAL Piemonte: “L’esperienza dell’Ovadese per il superamento del muro ospedale territorio”.

Realizzato con il contributo di Sanofi, Teva, Novartis

Con il patrocinio di Regione Piemonte, ASL Città di Torino, Cittadinanza attiva Regione Piemonte, FIMGG Regione Piemonte, Università degli studi di Torino

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

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