Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Michele Placido al Massimo

Il regista ha incontrato il pubblico alla proiezione de "L’ombra di Caravaggio"

“Pochi ma buoni”. Michele Placido ha salutato così,  domenica 13 novembre, gli spettatori della proiezione del suo ultimo lavoro, L’ombra di Caravaggio, alla Sala 1 del Cinema Massimo, meno numerosi forse perché all’Allianz Stadium nelle stesse ore si giocava la partita Juventus-Lazio.  ll film è la ricostruzione storica accurata degli ultimi anni di Michelangelo Merisi, sorta di  rockstar del ‘600, pittore geniale e ribelle nei confronti della religione e del clero irrigiditi dal Concilio di Trento, tanto da immortalare nei suoi dipinti sacri  volti e corpi di prostitute, malviventi e vagabondi. Macchiatosi di omicidio, Merisi chiede la grazia al Papa Paolo V, che decide di inviare un agente segreto del Vaticano, l’Ombra, una figura di giustiziere misterioso e inquietante, a raccogliere informazioni sull’artista.

Placido, autentico animale da palcoscenico, ha gratificato i presenti rispondendo alle domande dell’intervistatrice, generoso e  sorridente come di fronte a una sala gremita.

Perché ha  realizzato un film su Caravaggio?

Negli anni ’70 – il momento in cui il mondo giovanile era in rivolta, con le manifestazioni alle università americane, il maggio francese, le marce contro la guerra del Vietnam… – mi incontravo di pomeriggio a Campo de’ Fiori insieme ai colleghi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Su di noi la statua di Giordano Bruno, e la sua vicenda umana e la condanna accendevano le nostre conversazioni. Amici che sapevano di arte citarono il contemporaneo Caravaggio, in carcere nello stesso periodo e che assisterà all’ esecuzione del filosofo, e mi  fecero conoscere la  vita e le opere del pittore. Quei ricordi mi hanno stregato e a un certo punto ho iniziato il mio lavoro di ricerca e documentazione che mi ha portato a questo film, la cui ambizione  è mostrare soprattutto il privato dell’artista, la sua visione religiosa.

Chi è “l’ombra” del film?

Ha un mandato da parte del Vaticano di indagare sull’origine delle figure rappresentate nei quadri sacri di Caravaggio: scopre che si tratta di malviventi e prostitute e ipotizza per il pittore reato di eresia. La frequentazione di Filippo Neri aveva messo l’artista a contatto con gli emarginati, che di notte andava a incontrare nei postriboli e nelle taverne. Caravaggio era un mistico straordinario, conosceva il Vangelo a memoria e fu illuminato dalle figure di Filippo Neri e Giordano Bruno.

E’ un grande film di squadra con attori straordinari.

E’ vero, a partire da Isabelle Huppert, che ha fortemente voluto  interpretare il ruolo di Costanza Colonna:  grazie al suo apporto il film ha potuto avvalersi della partecipazione finanziaria francese e se non ci fosse stata questa coproduzione probabilmente non si sarebbe fatto. Il film sarà presentato a Parigi il 26 dicembre, con una conferenza stampa al Louvre, dove è conservato  il capolavoro di Caravaggio del 1605  “Morte della Vergine”, di cui racconto la genesi. Come protagonista ho scelto Riccardo Scamarcio, con il quale avevo girato Romanzo criminale, bravo attore, nonostante si dica abbia “un caratteraccio” , come molti  artisti, del resto. Mi sono avvalso, inoltre,  di Sandro Petraglia, lo stesso  sceneggiatore che ha lavorato con Bellocchio, Moretti… e con cui ho collaborato per  Romanzo criminale (2005)  e Il grande sogno (2009).

Cosa l’ha colpita della pittura di Caravaggio?

E’ stato un neorealista ante litteram, ispiratore di quella che secoli dopo sarà la cifra stilistica di Pasolini. Come dice nel film  “io dipingo la realtà”  e in nome di questo principio cerca e ritrae coloro che erano considerati gli ultimi: barboni, popolani, prostitute, ladri,

Aveva l’ossessione della verità, ed è molto toccante questo.

Il valore della sua pittura è che ama dipingere dal vero, i quadri non hanno i tipici sfondi secenteschi, ma il nero in cui sono collocate le figure rese con tratto violento come scatti fotografici. Pasolini, arrivato a Roma, non frequenta i salotti letterari,  Moravia, la Morante.. ma vive con la madre, insegna in periferia e incomincia a raccontare la realtà  di borgata, con i fratelli Citti, realizzando, ad esempio, il film Accattone, capolavoro assoluto. Allo stesso modo di Caravaggio, che, attivo a Roma, dove il Cardinal Del Monte si accorse del suo talento e lo invitò a Palazzo Madama,   preferiva frequentare i vicoli dei sobborghi  popolari, e lì trovava ispirazione per le sue opere… E sia Pasolini che Caravaggio troveranno la loro fine in riva al mare.

Anna SCOTTON

annas@vicini.to.it

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