Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Le otto montagne, di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch

Un paese sperduto di montagna, due ragazzini – uno di città e l’altro del luogo – che si conoscono e resteranno amici per sempre, pur nei differenti  percorsi  di vita. La scarna sinossi non rende le emozioni che suscita il bel film di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes.

Gli autori  ispirati dal best seller omonimo di Paolo Cognetti (edito da Einaudi e vincitore del Premio Strega nel 2017) si sono cimentati in un   viaggio nel cuore della natura  alpina. Protagonisti di inquadrature spettacolari sono, infatti, la  Val d’Ayas (in Valle d’Aosta), a partire da  Graines, antico borgo a 1.375 metri di quota, fino agli specchi d’acqua dei  laghi di Frudières e soprattutto alle  creste innevate e ai ghiacciai, la cui maestosità è resa attraverso l’uso sapiente di  campi lunghi e panoramiche.

Il fascino per  la grandezza delle nostre montagne ha guidato la coppia di cineasti– già rispettivamente regista e sceneggiatrice  dell’ottimo Alabama Munroe (2012) – incantati da un habitat  a cui non sono certo avvezzi,  data la modestia delle alture boscose delle Ardenne belghe (il Signal de Botrange con i suoi 694 m è la punta più elevata del Paese).

Alla riuscita di  questa storia di amicizia maschile, quindi fatta di sguardi, gesti e poche parole, Luca Marinelli e Alessandro Borghi, dotati di empatia, della giusta fisicità  e di capacità espressive toccanti, danno un contributo fondamentale.  Grazie a loro trova risposta credibile la domanda se conti di più fare “il giro delle  otto montagne oppure arrivare in cima al monte Sumeru”, essenza filosofica della narrazione: obiettivo è  trovare  il proprio posto nel mondo.

Il film  sottolinea, infine,  la rilevanza del ruolo dei padri e il loro segno lasciato  nelle esistenze dei figli, anche quando  la comunicazione sembra mancare: se Bruno non vuol andarsene dalle sue montagne, riproponendo il modello paterno,  nella ricerca esistenziale di Pietro, che si spinge fino in Nepal, è rintracciabile la stessa curiosità del proprio genitore, Giovanni, nei confronti di nuovi sentieri  da esplorare come esperienza di conoscenza di sé, della vita e del suo senso ultimo.

Il racconto filmico è reso ancor più avvincente  per merito della colonna sonora di  Daniel Norgren, con il brano portante As Long As We Last tratto dall’album Alabursy, pubblicato nel 2015, dal sapore fortemente evocativo: del resto “Non c’è niente come la montagna per ricordare.” (P. Cognetti)

 

Con:  Alessandro Borghi, Luca Marinelli, Filippo Timi, Elena Lietti.

Nelle sale torinesi

Voto: 9/10

Anna Scotton

annas@vicini.to.it

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